Anche un  gruppo di  agricoltori della Cia di Ascoli Piceno e Fermo ha partecipato al MAC fruit di Cesena. Oltre a visitare i numerosi stands i nostri agricoltori hanno preso parte al convegno promosso dalla Cia in  cui Cristina Chirico, responsabile dell’Ufficio internazionale della Cia, ha messo in evidenza le attuali regole di mercato e denunciato la presenza di prodotto indifferenziato, non etichettato nella sua origine, non tracciato, che entra nel territorio italiano, viene immesso nei nostri mercati, anche per il consumo interno, spesso confuso con il prodotto realmente di origine italiana. “La realtà economica globalizzata non prevede la possibilità di chiusure protezionistiche -ha continuato la Chirico-  ma rifiutiamo e denunciamo la volontà di concludere accordi commerciali di libero scambio laddove non sono presenti nei territori di origine sistemi di tracciabilità del prodotto, di rispetto delle norme igienico-sanitarie, di sufficienti strumenti di controllo della qualità del prodotto, di amministrazioni doganali equivalenti a quelle comunitarie”. La Cia dichiara, quindi, la necessità di rivedere l’attuale situazione delle relazioni commerciali internazionali impostate dall’Unione europea. “In un contesto di crisi dei mercati agricoli mondiali, dall’accrescersi della concorrenza esercitata dai grandi produttori ed esportatori mondiali, dal mancato rispetto da parte di molti competitor degli standard produttivi europei, non si può considerare vincente una politica di apertura del mercato comunitario in assenza della parità di rispetto delle regole”. Le aperture commerciali intraprese nel corso di questi anni dall’Unione europea non hanno portato, ad un miglioramento sostanziale del sistema di controllo e di rispetto sanitario e fitosanitario nei paesi partner. Chi più subisce le conseguenze negative di una apertura commerciale squilibrata è il comparto ortofrutticolo, la cui produzione si concentra prevalentemente nei paesi dell’Europa mediterranea, Italia, Spagna, Francia e Grecia. L’attuale processo di sola liberalizzazione commerciale guidato dall’Unione Europea, secondo la Cia non può essere considerata una politica di sviluppo per l’agricoltura mediterranea positiva “perché la concorrenza distruttiva danneggia gli agricoltori italiani e non avvantaggia gli agricoltori mediterranei” .

Gli attori dell’attuale liberalizzazione commerciale non sono però le imprese agricole: “la politica commerciale attualmente praticata da grandi gruppi commerciali e da catene della distribuzione organizzata, in molti importanti settori produttivi, dall’olio di oliva ai prodotti ortofrutticoli, nell’esclusiva ricerca del minor prezzo -ha proseguito la Chirico- penalizza l’offerta italiana rispetto ad approvvigionamenti mediterranei ad essa alternativi”.Questa situazione chiama in causa la definizione di una nuova politica agricola per il Mediterraneo, che passando da una funzione meramente di mercato, vada ad incidere, anche con il sostegno dell’Unione Europea, sulla riduzione dei divari interni nelle condizioni di vita delle popolazioni locali impegnate in agricoltura.

 

La Politica agricola europea, che l'Unione si accinge a progettare per gli anni a venire, dal 2013 al 2020 tiene banco in questi giorni e soprattutto tiene  con il fiato sospeso 14 milioni di agricoltori italiani. Un clima di attesa in vista della prossima tappa, il 12 ottobre, quando il commissario Ue Dacian Ciolos, presenterà le proposte dell'esecutivo. Il mondo agricolo, in Italia, in base ai primi rumors teme una «tagliola» da 800 milioni di euro l'anno a partire dal 2020, quando entrerà a regime, come ha evidenziato nei giorni scorsi il titolare del dicastero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, a fronte di un budget che sarà diviso per 27 Paesi, dopo l'allargamento. Romano, a questo proposito ha espresso preoccupazione e ha criticato personalmente a Bruxelles nel merito e nel metodo la conduzione del negoziato del commissario rumeno, prevedendo, con un certo ottimismo di aprire un tavolo italo francese nazione questa che ha un certo peso a livello europeo e che può condividere interessi comuni con l'Italia. Sulla base delle proposte relative alle prospettive finan-ziarie, in termini reali, con una ipotesi di inflazione annua del 2%, «l'Italia perderebbe nel 2020 circa il 12% della propria dotazione agricola per la riduzione generale del budget agricolo, cui si aggiungerebbe una riduzione di circa il 5,50% degli aiuti diretti per effetto del processo di convergenza (quindi una riduzione totale di circa il 17,5% degli aiuti diretti erogati ai produttori» ha affermato Romano nel corso di un'audizione alla commissione Agricoltura della Camera.(fonte Agrisole)

Pronta la proposta per il «conto energia termico». Lo scorso 6 ottobre è arrivato sul tavolo del ministero dello Sviluppo economico il testo che delinea un nuovo sistema di incentivi per la termica da biomasse legnose (legna, cippato, pellet): si tratta di un documento condiviso da un gruppo guidato da Aiel-Cia e Agroenergia-Confagricoltura, che include anche Itabia, Fiper (teleriscaldamento) e le associazioni ambientaliste Legambiente e Amici della Terra. «In un momento in cui c'è grande attesa per i decreti attuativi sui nuovi incentivi per elettrica e termica, il mondo delle rinnovabili si presenta frantumato — osserva Marino Berton, presidente di Aiel Cia —. Con questo documento, invece, il segmento delle agroenergie fa quadrato. Passando dall'attuale meccanismo di detrazioni fiscali a un sistema di incentivi strutturato sul modello del conto energia, come quello proposto, lo scenario potrà cambiare per la termica, favorendo il raggiungimento degli obiettivi Ue al 2020 per le rinnovabili, dove il calore ha un ruolo centrale. È questa la strada che abbiamo indicato, puntando su criteri di efficienza e sostenibilità». Nel dettaglio, la proposta presentata si articola su tre tipologie di incentivi, che variano a seconda degli impianti considerati. Nel caso di apparecchi domestici, come stufe (anche a pellet) e caminetti, si prevede un «conto energia» semplificato che contabilizza in modo forfettario il calore generata. E che premia la produzione con 2,31 centesimi di euro per kWh termico per una durata di 5 anni, prevedendo requisiti di alta efficienza, basse emissioni e la manutenzione obbligatoria. Per le caldaie con una potenza inferiore ai 500 kW termici si propone invece una «tariffa» incentivante di 3 centesimi per kWh con una durata di 10 anni. In questo caso, l'impianto dovrà essere certificato (da un organismo accreditato) così come la materia prima utilizzata. Viene inoltre fissata una soglia massima di 1.300 ore incentivabili, ponendo come condizione l'effettivo utilizzo dell'energia termica prodotta: paletti che puntano a evitare le speculazioni. Discorso diverso, infine, per gli impianti di teleriscaldamento e le caldaie sopra i 500 kW termici, per i quali si propone la revisione dei certificati bianchi per l'efficienza energetica: con una soglia di ritiro pari a 104 euro per tonnellata equivalente petrolio (Tep), una validità di 15 anni e un coefficiente moltiplicatore di 1,8 per le centrali alimentate a biomasse legnose prodotte entro i 70 km (sul modello dei certificati verdi). Spetta al ministero dello Sviluppo economico, ora, decidere se tenere conto o meno della proposta ricevuta. Il termine per il varo del decreto attuativo per definire il nuovo quadro di incentivi per le rinnovabili termiche (così come quello per le elettriche) era fissato allo scorso settembre (come stabilito dal Dlgs 28/2011), ma ancora non ce n'è traccia. «Il tavolo presso il ministero è in corso — dice Berton — e confidiamo che possa uscire entro fine anno»
Scampato pericolo per lo yogurt. Nei vasetti, come ingrediente base, troveremo ancora latte e non polvere concentrata". Lo afferma Giuseppe Politi, presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori, commentando lapprovazione da parte del Consiglio dei ministri della direttiva comunitaria 2007/61 sul latte conservato o disidratato. "E una vittoria del mondo agricolo, che da subito si è battuto contro il tentativo di modificare la normativa prevista dalla legge 138/74 - spiega Politi - ed è una vittoria degli allevatori e dei consumatori, che hanno la certezza di vedere riconosciute le istanze di qualità e trasparenza nella fabbricazione di prodotti lattiero-caseari. Così è stato premiato il nostro impegno in difesa del settore".

“Per i fabbricati rurali siamo ormai nel caos più totale. Ritardi inammissibili e assurdi, adempimenti letteralmente fuorvianti stanno mettendo con le spalle al muro migliaia di agricoltori, che rischiano di subire danni rilevanti per colpe e responsabilità imputabili ad altri. Tutt’altro che chiusa la vicenda dell’Ici, la tegola di una regolarizzazione, per dir poco ‘fantasma’, si abbatte, infatti, sugli imprenditori che, secondo quanto prevede il decreto del ministero dell’Economia relativo all’accatastamento, hanno poco più di una settimana per rispondere alle richieste dell’Agenzia del Territorio. Una cosa che ha dell’incredibile”. E’ quanto sottolinea il presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori Giuseppe Politi, fortemente preoccupato per una situazione grave che va a rendere ancora più complesso il quadro in cui oggi sono costrette ad operare le imprese agricole, già alle prese con costi produttivi assillanti e una burocrazia opprimente.

“Da anni, purtroppo, la questione dei fabbricati rurali -afferma Sandroni Massimo - si sta trascinando in una condizione di perenne incertezza, a danno esclusivo degli agricoltori che vedono messo in discussione un loro diritto da un sistema burocratico che ignora totalmente i valori che devono essere alla base di un corretto rapporto fra individuo e Pubblica amministrazione”.

Anche ora che con il Dl 70/11, convertito nella legge 106/11, è stata approvata una misura che tende a regolarizzare i fabbricati rurali accatastati con categoria diversa dalla A/6 (abitativi) e D/10 (strumentali), misura certamente non condivisa dalla Cia, gli agricoltori sono rimasti prigionieri di una situazione paradossale, dove solo a sette giorni dalla scadenza (30 settembre prossimo) è stato pubblicato (mercoledì 21 settembre) il decreto attuativo richiamato dalla norma, con relativa modulistica.

Il termine per la presentazione della domanda all’Agenzia del Territorio è da considerare irricevibile da parte degli agricoltori, soprattutto perché -sostiene la Cia- solo in prossimità della scadenza si ha la possibilità di operare, quando, invece, già dal 13 luglio il provvedimento, che avrebbe consentito agli agricoltori di regolarizzare la propria posizione, poteva essere emanato e questo nonostante le ripetute sollecitazioni espresse da tutto il mondo agricolo.

Sollecitazioni che si sono dimostrate inutili, così come inutili, in quanto non accolte, si sono rivelate essere anche le ragionevoli richieste di proroga fino ad ora avanzate.

Sono diverse le criticità -rileva la Cia- che rendono obbligatoria la concessione di una proroga. In primo luogo gli allegati alla modulistica (b e c) non sono di semplice e rapida compilazione, né per il singolo contribuente né per gli addetti ai lavori dal momento che richiedono una rilevante quantità di informazioni (peraltro alcune non necessarie e pertinenti allo scopo di autocertificare i requisiti di ruralità).

In secondo luogo -rimarca la Cia- si prevede che la domanda, compilabile con modalità informatiche tramite un’applicazione disponibile sul sito dell’Agenzia, debba anche essere presentata all’Ufficio provinciale competente dell’Agenzia del Territorio tramite consegna diretta, raccomandata con ricevuta di ritorno, fax o posta elettronica certificata. Per tale consegna sono stati concessi ulteriori quindici giorni.

 

Cronistoria 

D.L. n. 207/2008 - Fino alla emanazione di questo atto non vi era una disposizione specifica volta ad escludere ad imposizione i fabbricati rurali, ma con ll’emanazione del D.L. n. 207/2008, viene sancito l’esonero dell'ICI per i fabbricati rurali.

Nel  2009, la Corte di Cassazione ha sollevato nuovamente la problematicità del caso contestando il riconoscimento dell’esenzione ai fabbricati rurali che non fossero censiti nelle categorie catastali A/6, per i fabbricati a destinazione abitativa, ovvero D/10, per i fabbricati strumentali all’attività agricola. Secondo la Cassazione l’elemento decisivo per affermare o escludere l’assoggettabilità ad ICI di un fabbricato dipende dalla classificazione catastale: poiché esistono specifiche categorie catastali dedicate ai fabbricati rurali (appunto A/6 e D/10) il contribuente, se intende considerare rurale il proprio fabbricato, e beneficiare così delle agevolazioni conseguenti, tra cui l’ICI, dovrà accertarsi che sia stata attribuita la corrispondente categoria catastale.
Tale impostazione, contrasta con la posizione affermata da parte dell’Agenzia delle Entrate secondo cui, indipendentemente dall’accatastamento che possedeva il fabbricato, la ruralità doveva essere riconosciuta quando venivano rispettati i requisiti dettati dall’art. 9 del D.L. n. 557/1993 e successive modificazioni
 
Decreto Sviluppo (D.L. n. 70/2011)
La disposizione introdotta dal Decreto Sviluppo introduce, invece, la possibilità di sanare l’accatastamento difforme. Il comma 2-bis del Decreto Sviluppo impone così ai contribuenti che possiedono fabbricati ruralità, ma censiti in una categoria diversa da A/6 o D/10, di procedere entro il 30 settembre, alla presentazione di una variazione catastale, chiedendo il censimento in tali categorie. Tale richiesta deve essere corredata da autocertificazione nella quale il contribuente attesta il possesso dei requisiti di ruralità. L’Agenzia del Territorio, entro il 20 novembre 2011 si esprimerà su tale richiesta valutando la sussistenza o meno dei requisiti rurali, confermando o meno il classamento in una delle categorie catastali dei fabbricati rurali e quindi della possibilità di usufruire dell’esonero ai fini ICI.
Nell’autocertificazione il contribuente dovrà dichiarare che l’immobile possiede, in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda, i requisiti di ruralità dell’immobile.