In un momento di tagli, tasse e lacrime amare per i contribuenti italiani, un emendamento alla Legge di Stabilità vorrebbe riportare in vita la Federconsorzi, un carrozzone gigante, una sorta di Iri del settore agroalimentare, che nel dopoguerra era diventato uno dei centri nevralgici del potere DC, da dove si distribuivano soldi, si incassavano voti e si assegnavano posti in Parlamento. La Federconsorzi è stata dichiarata fallita nel 1991, dopo un crac da 6.000 miliardi di lire. Uno sterminio di denaro pubblico che però ha paradossalmente tenuto in vita il cadavere di Federconsorzi: mai si è risolto infatti il contenzioso giudiziario fra le aziende creditrici e il Ministero dell’Agricoltura che quei debiti avrebbe dovuto pagare. Allora l’idea è quella di ricostituire Federconsorzi per fare in modo che poi riesca a pagare i suoi debiti. Ci aveva provato Ugo Sposetti (Pd), ultimo tesoriere dei Ds nonché componente a suo tempo della commissione d’inchiesta parlamentare su Federconsorzi ma il suo emendamento era stato respinto. Ci sta riprovando Antonio D’Alì del Pdl, con un emendamento alla Legge di Stabilità: riportare in vita Federconsorzi con una “dote” di 400 milioni di euro. Ma in Parlamento insorgono i senatori del Pd (dove Sposetti si muove evidentemente in autonomia), che per voce del capogruppo in Commissione Agricoltura Roberto Ruta esprimono le loro perplessità sull’operazione: “Pur rispettando le sentenze civili della magistratura siamo convinti che non possa essere questa la sede per affrontare e dare risposta a una tematica così significativa sul profilo finanziario come la ricostituzione di Federconsorzi”. Così Agrinsieme commenta quanto annunciato dal senatore D’Alì, : “Si sta provando a riesumare il cadavere di Federconsorzi, quando l’unica cosa da fare sarebbe mettere una pietra tombale sulla vicenda. Troviamo scandaloso l’ennesimo tentativo, questa volta per mano governativa, di ridar vita a Federconsorzi, uno dei più grandi scandali finanziari del Paese, costretto a chiudere i battenti nel 1991 dopo un crack da 6.000 miliardi di lire che oggi varrebbero quasi 4 miliardi di euro. Piuttosto che trasferire questi vecchi crediti dell’agricoltura all’erede di un soggetto dalla storia alquanto torbida, ci chiediamo se non sia invece più ragionevole in un momento di congiuntura economica difficile, ‘liberare’ queste risorse, che ammonterebbero a circa 400 milioni di euro per dare subito respiro alle aziende agricole, sospendendo ad esempio la seconda rata dell’Imu sui terreni agricoli, o finanziando misure di sostegno al credito o di riduzione del costo della manodopera”. Agrinsieme ricorda ancora che c’è stato già un primo tentativo nei giorni scorsi attraverso un emendamento, poi respinto, presentato dal senatore Pd Sposetti, ex tesoriere del Pci e componente, a suo tempo della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla Federconsorzi. “Facciamo ora appello al governo, al ministro delle Politiche agricole De Girolamo e a tutte le forze parlamentari affinché risorse finanziarie così importanti, che potrebbero dare linfa vitale all’intero comparto agroalimentare, non vengano di colpo trasferite in poche mani”.

La vicenda giudiziaria ricostruita da RadioCor: “Nel frattempo va avanti la partita tra la Federconsorzi in liquidazione e lo Stato (in particolare il ministero dell’Agricoltura) davanti ai giudici sull’entità del maxi credito. La prossima puntata della lite giudiziaria che prosegue ormai da quasi vent’anni si terrà il 28 novembre, davanti alla Corte di Cassazione. Il Ministero ha infatti impugnato la sentenza della Corte di Appello di Roma del 2010 che riconosceva un credito da 551,8 milioni di euro più interessi (secondo i calcoli della liquidazione circa 900 milioni di euro) all’ex gigante verde. Intanto il liquidatore Farenga annuncia l’intenzione di “sollevare in quella sede davanti alla Cassazione la questione di legittimità costituzionale sulla norma della legge Semplificazioni” che tagliava a circa 300 milioni di euro il debito dello Stato. La querelle iniziò nei primi anni ’90; ora al centro del contendere davanti alla Corte di Cassazione c’è la modalità di calcolo degli interessi sul debito del Ministero dato che, secondo i ricorrenti, dovrebbero essere conteggiati gli interessi legali mentre secondo la procedura bisognerebbe calcolare gli interessi convenzionali stabiliti a suo tempo con decreti ministeriali. Dopo la diffida da parte della liquidazione guidata da Farenga a inizio 2012, il Governo, con la legge Semplificazioni, aveva ridotto il proprio debito a circa 300 milioni di euro, appunto tagliando i tassi di interesse. Una operazione legislativa giudicata dagli organi della liquidazione giudiziale Federconsorzi assolutamente arbitraria ed illegittima, anche in considerazione del fatto che nella Legge Semplificazioni non era prevista nessuna copertura finanziaria. Inoltre il comma 7 dell’articolo 12 della normativa in questione (su cui interviene ora l’emendamento al ddl stabilità) faceva salvi solo gli effetti delle sentenze passate in giudicato e sembrerebbe non ricomprendere la decisione della Corte di Appello sul credito a favore di Federconsorzi impugnata dal Ministero davanti alla Cassazione. La liquidazione non si arrende e, come annuncia il commissario Farenga a Radiocor, “davanti alla Corte di Cassazione sarà sollevata la questione della remissione degli atti alla Corte Costituzionale; sono certo che la Cassazione disporrà la remissione degli atti alla Consulta e quest’ultima stabilirà l’incostituzionalità della norma abrogandola”. Farenga è succeduto al dimissionario Sergio Scicchitano nel 2011 ed è il sesto liquidatore di Fedit”. (da Blitz quotidiano)

Coerentemente con la Raccomandazione Europea del 22 Aprile 2013, attraverso il Piano per la Garanzia Giovani l'Italia attuerà misure volte ad assicurare ai giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni una formazione adeguata alle loro attitudini e sostenuti ed indirizzati verso il mondo del lavoro. Oggi, infatti, sono circa 1 milione e 300 mila i giovani italiani sotto  i 25 anni che non lavorano e non studiano. Con i fondi europei della Youth Employment Initiative e del Fondo Sociale saranno attivati percorsi di alternanza studio/lavoro, di avviamento al lavoro, di apprendistato, di tirocinio e di auto-imprenditorialità, in un quadro di forte collaborazione tra autorità nazionali, regionali e territoriali. Un sistema di banche dati integrate, di piattaforme per l'incontro domanda/offerta e di comunicazione consentirà anche un continuo monitoraggio degli interventi e una loro valutazione. Secondo il presidente di Agia-Cia Luca Brunelli l'niziativa rappresenta senza dubbio un segnale di attenzione verso la disoccupazione giovanile, ma occorrono, tuttavia, misure più coraggiose quali: l’estensione del limiti di età almeno fino a 29 anni,  la revisione del criterio della soglia occupazione (almeno 5 lavoratori a - tempo indeterminato) per l’attivazione dei tirocini, - l’inserimento nell’ambito del programma di misure per l’imprenditorialità giovanile,  la previsione di incentivi alle imprese che ospitano i tirocinanti o assumono i giovani. Brunelli- dichiara negativo il fatto che gli incentivi alle assunzioni continuino a essere tarati esclusivamente sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato, escludendo di fatto il settore agricolo da tali benefici, dimostrando ancora una volta di non voler investire nell’unico settore che finora è riuscito a contenere almeno l’impatto occupazionale della crisi.

 

L’agricoltura italiana continua a perdere terreno, minacciata costantemente dall’avanzata della cementificazione selvaggia e abusiva, che solo negli ultimi vent’anni ha divorato più di due milioni di ettari coltivati, dalla mancata manutenzione del suolo, dal degrado, dall’incuria ambientale, dall’abbandono delle zone collinari e montane dove è venuto meno il fondamentale presidio dell’agricoltore. E i disastri provocati dal maltempo negli ultimi anni ne sono la prova tangibile. Siamo in presenza di uno “scippo” di territorio agricolo che procede a ritmi vertiginosi: 11 ettari l’ora, quasi 2000 alla settimana e oltre 8000 al mese, calpestando quotidianamente paesaggio, tradizioni e qualità del cibo. In poco meno di dieci anni l’agricoltura ha perso una superficie di terra coltivabile di oltre 19 mila kmq, un territorio pari a quanto l’intero Veneto. Basta citare alcuni dati per comprendere la delicatezza del problema: oggi 8 comuni su 10 sono in aree ad elevata criticità idrogeologica; oltre 700 mila sono gli immobili abusivi, spesso costruiti non a norma e, quindi, a grave rischio in presenza di una calamità naturale. Ciò che manca nel nostro Paese è una vera opera di prevenzione contro le calamità naturali. Dal 1950 ad oggi si sono spesi più di 200 miliardi di euro per riparare i danni causati, appunto, da calamità naturali; sarebbe bastato destinare il 20 per cento di questa cifra ad opere di manutenzione del territorio per limitare le disastrose conseguenze e soprattutto le perdite umane. Prevenzione che può essere attuata attraverso strumenti esistenti (le convenzioni con le imprese agricole) e in un’ottica di sussidiarietà, attraverso l’azienda multifunzionale  presente sul territorio che ricopre una funzione veramente efficace. Fin dagli anni Ottanta la Cia ci batte per una politica del territorio, dove l’agricoltura abbia un ruolo protagonista, di presidio, di tutela. Ricordiamo i due significativi convegni che abbiamo svolto nel 1981 e nel 1985 a Spoleto e la proposta di iniziativa popolare presentata alla Camera dei Deputati nel giugno del 1994 con la raccolta di oltre 65 mila firme. Proposta che, nonostante siano passati quasi 20 anni, appare ancora estremamente attuale, soprattutto davanti ai recenti disastri provocati dal maltempo a causa della mancata manutenzione del suolo, del degrado, della cementificazione selvaggia e abusiva, dell’incuria ambientale, dell’abbandono delle zone collinari e montane, dove è venuto meno il fondamentale presidio dell’agricoltore. Aggiungiamo, poi, la “Carta di Matera” firmata dall’Anci e da migliaia di sindaci. Un documento che punta a creare un futuro con più agricoltura e una politica territoriale veramente valida.

Si pubblica la pregevole iniziativa della AGIA nazionale e la presentazione del presidente ( Associazione Giovani Imprenditori Agricoli )

 

Care amiche, cari amici, Agia ha  recentemente elaborato  il “Decalogo della Terra”.Il documento è stato inviato al Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Onorevole Nunzia De Girolamo in quanto soggetto politico e istituzionale che più di ogni altro può svolgere un ruolo positivo per accogliere le nostre richieste. Quindi è stata effettuata la spedizione online ai membri della Commissione Agricoltura della camera e del Senato.Nei prossimi giorni invieremo lo invieremo agli Assessori Regionali in quanto competenti per alcuni punti di richiesta. Nel ringraziarvi per l’attenzione vi invio i migliori saluti

Antonio Sposicchi

Segretario Nazionale Agia Via Mariano Fortuny, 20 00196 Roma  tel. 0632687414

 


Il 21 Novembre si è svolto ad Orvieto, in Umbria, il VI Forum nazionale della Cia sul settore vitivinicolo con il tema “Più forte la filiera. Più forti gli agricoltori”. Nel corso dell’incontro è stato affrontato il ruolo delle Organizzazioni di produttori (Op), delle Organizzazioni interprofessionali (Oi) e dei Consorzi di tutela, quali strumenti e sistemi di relazioni per rafforzare l’aggregazione, la competitività e l’internazionalizzazione delle imprese. Per la CIA è doveroso spingere verso l’aggregazione tra le imprese, promuovendo, allo stesso tempo, l’integrazione delle filiere per arrivare a ottenere equilibri tra agricoltori, trasformatori e distributori. L'aggregazione crea maggiore valore aggiunto lungo tutto la filiera, grazie alla semplificazione burocratica, alla logistica efficiente, ed ad una promozione collettiva. Nel settore vitivinicolo fulcro organizzativo delle strategie di qualità sono i Consorzi di tutela, che l regolamentano l’origine e la tipicità dei prodotti, svolgono funzioni di gestione del disciplinare, di vigilanza sull’uso del marchio, di promozione. Ma oggi, per la Cia, occorre un cambio di rotta e un salto di qualità, risolvendo il problema urgente della rappresentatività dei Consorzi. Bisogna, cioè, assicurare la partecipazione effettiva di tutte le componenti imprenditoriali; rivedere i pesi tra aziende utilizzatrici del marchio, componenti effettive della filiera e strutture di servizio; far passare il principio che è il prodotto che sostiene la maggior parte dei costi. Solo consolidando le diverse forme di collaborazione della filiera si moltiplica davvero il valore del nostro vino, anche all’estero, dove l’appeal delle nostre bottiglie è già evidente nei numeri, ma resta suscettibile di forte crescita.