La Politica agricola europea, che l'Unione si accinge a progettare per gli anni a venire, dal 2013 al 2020 tiene banco in questi giorni e soprattutto tiene con il fiato sospeso 14 milioni di agricoltori italiani. Un clima di attesa in vista della prossima tappa, il 12 ottobre, quando il commissario Ue Dacian Ciolos, presenterà le proposte dell'esecutivo. Il mondo agricolo, in Italia, in base ai primi rumors teme una «tagliola» da 800 milioni di euro l'anno a partire dal 2020, quando entrerà a regime, come ha evidenziato nei giorni scorsi il titolare del dicastero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, a fronte di un budget che sarà diviso per 27 Paesi, dopo l'allargamento. Romano, a questo proposito ha espresso preoccupazione e ha criticato personalmente a Bruxelles nel merito e nel metodo la conduzione del negoziato del commissario rumeno, prevedendo, con un certo ottimismo di aprire un tavolo italo francese nazione questa che ha un certo peso a livello europeo e che può condividere interessi comuni con l'Italia. Sulla base delle proposte relative alle prospettive finan-ziarie, in termini reali, con una ipotesi di inflazione annua del 2%, «l'Italia perderebbe nel 2020 circa il 12% della propria dotazione agricola per la riduzione generale del budget agricolo, cui si aggiungerebbe una riduzione di circa il 5,50% degli aiuti diretti per effetto del processo di convergenza (quindi una riduzione totale di circa il 17,5% degli aiuti diretti erogati ai produttori» ha affermato Romano nel corso di un'audizione alla commissione Agricoltura della Camera.(fonte Agrisole)
“Per i fabbricati rurali siamo ormai nel caos più totale. Ritardi inammissibili e assurdi, adempimenti letteralmente fuorvianti stanno mettendo con le spalle al muro migliaia di agricoltori, che rischiano di subire danni rilevanti per colpe e responsabilità imputabili ad altri. Tutt’altro che chiusa la vicenda dell’Ici, la tegola di una regolarizzazione, per dir poco ‘fantasma’, si abbatte, infatti, sugli imprenditori che, secondo quanto prevede il decreto del ministero dell’Economia relativo all’accatastamento, hanno poco più di una settimana per rispondere alle richieste dell’Agenzia del Territorio. Una cosa che ha dell’incredibile”. E’ quanto sottolinea il presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori Giuseppe Politi, fortemente preoccupato per una situazione grave che va a rendere ancora più complesso il quadro in cui oggi sono costrette ad operare le imprese agricole, già alle prese con costi produttivi assillanti e una burocrazia opprimente.
“Da anni, purtroppo, la questione dei fabbricati rurali -afferma Sandroni Massimo - si sta trascinando in una condizione di perenne incertezza, a danno esclusivo degli agricoltori che vedono messo in discussione un loro diritto da un sistema burocratico che ignora totalmente i valori che devono essere alla base di un corretto rapporto fra individuo e Pubblica amministrazione”.
Anche ora che con il Dl 70/11, convertito nella legge 106/11, è stata approvata una misura che tende a regolarizzare i fabbricati rurali accatastati con categoria diversa dalla A/6 (abitativi) e D/10 (strumentali), misura certamente non condivisa dalla Cia, gli agricoltori sono rimasti prigionieri di una situazione paradossale, dove solo a sette giorni dalla scadenza (30 settembre prossimo) è stato pubblicato (mercoledì 21 settembre) il decreto attuativo richiamato dalla norma, con relativa modulistica.
Il termine per la presentazione della domanda all’Agenzia del Territorio è da considerare irricevibile da parte degli agricoltori, soprattutto perché -sostiene la Cia- solo in prossimità della scadenza si ha la possibilità di operare, quando, invece, già dal 13 luglio il provvedimento, che avrebbe consentito agli agricoltori di regolarizzare la propria posizione, poteva essere emanato e questo nonostante le ripetute sollecitazioni espresse da tutto il mondo agricolo.
Sollecitazioni che si sono dimostrate inutili, così come inutili, in quanto non accolte, si sono rivelate essere anche le ragionevoli richieste di proroga fino ad ora avanzate.
Sono diverse le criticità -rileva la Cia- che rendono obbligatoria la concessione di una proroga. In primo luogo gli allegati alla modulistica (b e c) non sono di semplice e rapida compilazione, né per il singolo contribuente né per gli addetti ai lavori dal momento che richiedono una rilevante quantità di informazioni (peraltro alcune non necessarie e pertinenti allo scopo di autocertificare i requisiti di ruralità).
Cronistoria
D.L. n. 207/2008 - Fino alla emanazione di questo atto non vi era una disposizione specifica volta ad escludere ad imposizione i fabbricati rurali, ma con ll’emanazione del D.L. n. 207/2008, viene sancito l’esonero dell'ICI per i fabbricati rurali.
Nell’autocertificazione il contribuente dovrà dichiarare che l’immobile possiede, in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda, i requisiti di ruralità dell’immobile.
Pubblichiamo l'estratto dell'intervento del ministro all'agricoltura S. Romano pubblicato su Libero del 08/09/2011 che auspica una PAC che aiuti le aziende virtuose, che affrontano il mercato e che investono nel settore. Posizione che riteniamo conforme alle strategie per la nuova PAC delineate nel nostro documento Comune Nazionale.
Negli ultimi mesi abbiamo seguito con grande apprensione l'andamento dei mercati finanziari, che tengono tutto il mondo con il fiato sospeso. Non dobbiamo però dimenticare che l'estate trascorsa è stata particolarmente difficile anche per gli agricoltori italiani, in particolare per il settore ortofrutticolo e per la zootecnia. Molto spesso si tende a ritenere che l'agricoltura rappresenti ancor oggi un settore assistito, saldamente protetto dalla politica agricola europea. In realtà la politica agricola comune (PAC) nell'ultimo decennio si è trasformata profondamente, eliminando tutte le forme di sostegno che erano collegate alla produzione ed al mercato.I produttori italiani lo sanno assai bene, perché oggi non devono fronteggiare soltanto la concorrenza degli agricoltori spagnolio tedeschi, ma anche quella del Sudarnerica o dei paesi nordafricani, in un mercato mondiale sempre più aperto e permeabile.Tutto questo avviene in una situazione di grande volatilità dei prezzi, ed i produttori sono indifesi davanti ai repentini cambiamenti del mercato. In questa fase storica i nostri agricoltori avrebbero bisogno di misure dirette ad accrescere la competitività delle proprie aziende e di strumenti di sostegno idonei a proteggerli in occasione delle crisi di mercato più acute.La PAC purtroppo non fornisce alcuna risposta. La politica europea è attualmente imperniata su un sistema di sostegno svincolato da qualsiasi riferimento alla produzione ed al mercato. Gli aiuti vengono erogati anche se l'agricoltore cessa la produzione e senza alcun riferimento alla realtà dell'impresa.È, logico che una impostazione di questo tipo finisca per premiare le aziende meno virtuose, quelle che decidono di limitare i rischi del mercato riducendo gli investimenti e l'attività. Cessando la produzione ed azzerando i costi può risultare assai appetibile la percezione di un aiuto comunitario, pur se di entità relativamente limitata. Lo stesso ammontare di sostegno è invece irrilevante per una impresa che abbia fatto importanti investimenti. Purtroppo la Commissione europea sembra non comprendere che questa strada è completamente sbagliata.Alla vigilia del negoziato sulla riforma della PAC la Commissione propone di accentuare ancor di più tale impostazione commisurando gli aiuti esclusivamente in base alle superfici agricole dei paesi membri, eliminando definitivamente ogni riferimento alla produzione realizzata, agli investimenti ed al lavoro. In tal modo verrebbero penalizzati pesantemente i paesi più produttivi, come l'Italia, che dovrebbe versare 7 miliardi l'anno al bilancio comunitario ricevendo soltanto 3,5 miliardi per i propri agricoltori, che hanno il solo torto di lavorare bene ricavando dalle proprie limitate superfici aziendali una produzione elevata. Verrebbero spesi in tal modo ogni anno circa 40 miliardi di aiuti agli agricoltori europei, creando un gigantesco sistema assistenziale, del tutto inutile per le imprese attive ma assai appetibile per coloro che decidano cli disinvestire. Una politica di questi tipo non è utile a nessuno: né agli agricoltori né ai consumatori e dubito che possa risultare comprensibile per i contribuenti europei. C'è bisogno invece di una politica al servizio delle imprese orientate al mercato, che hanno bisogno di strumenti per crescere ed affrontare una competizione mondiale sempre più serrata.
FRANCESCO SAVERIO ROMANO Ministro delle Politiche Agricole,Alimentari e Forestali
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