Il prossimo 9 maggio sotto a Montecitorio, la Confederazione italiana agricoltori con il suo Patronato di riferimento Inac-Istituto nazionale assistenza cittadini, lancerà l’iniziativa di petizione popolare per modificare la “legge Fornero”. Si tratterà di un civile sit-in di protesta -avvertono gli organizzatori- e l’occasione per raccogliere le prime firme che “chiedono” di abrogare le norme inique contenute nell’attuale legge. Iniziativa, quella davanti al Parlamento -spiega la Cia e il suo Patronato- propedeutica della manifestazione nazionale “Inac in Piazza” che si svolgerà il prossimo 11 di maggio in tutte le province d’Italia. Proprio quel giorno, nei gazebo predisposti dal Patronato, nelle principali piazze e vie del Paese, sarà quindi possibile sottoscrive la petizione, lasciando così il proprio “segno” per una legge più equa. Sempre negli spazi allestiti dalla Cia e dal suo Patronato i cittadini riceveranno informazioni utili in materia previdenziale, pensionistica oltre che sui diritti sociali in genere. La manifestazione -continuano gli organizzatori- nasce dall’esigenza di dare voce al disagio di quei milioni di cittadini che vivono nell’incertezza e nell’ansia di non poter programmare la loro vita futura. In un Paese -spiegano Cia e il suo Patronato Inac- dove nelle aree rurali si concentra il maggior numero delle pensioni minime, dove ogni cittadino “butta” oltre 190 ore all’anno per adempiere ad obblighi burocratici, dove la disoccupazione giovanile supera il 35 per cento e l’impoverimento generale è l’unica statistica che bisognerebbe far scendere e invece registra un segno più. In questo contesto, con i pensionati che fungono da “ammortizzatori sociali” per le famiglie, c’è una legge sulle pensioni che sposta progressivamente in avanti la data del “fine lavoro” e ulteriormente l’aggancia alla statistica dell’aspettativa di vita. Morire, mediamente, ad un’età più avanzata rispetto al passato, non significa che a 70 anni si è “abili e arruolati” al lavoro. Infatti -concludono gli organizzatori- se è vero che molti paesi europei (come ad esempio la Germania) hanno innalzato l’età pensionabile legandola all’aspettativa di vita, è altrettanto vero che gli stessi stanno rimettendo in discussione questo teorema. Infatti, alcuni studi accreditati stanno dimostrando che, superati i sessant’anni, le persone sono maggiormente soggette a diverse patologie e quindi bisognosi delle relative cure.  Risultato: poco presenti sul lavoro e spese sanitarie dello Stato che superano quelle previste per le pensioni. Per questi motivi, la Cia e il suo Patronato Inac ritengono che, dopo l’ultima riforma delle pensioni, che ha elevato in modo consistente l’età pensionabile, questa norma non abbia più ragione di essere e auspicano che i cittadini aderiscano numerosi alla petizione popolare per eliminare questo meccanismo inaccettabile.

Sono tante, 2134 in tutta Italia, e sono l'ultima fase della ricerca di un equilibrio nuovo tra cittadino e campagna. Sono le fattorie didattiche e insegnano agli urbanizzati qual è la pianta del basilico e come il formaggio pecorino derivi dal latte. Spesso i visitatori delle fattorie non lo sanno. Sono duemilacentotrentaquattro, e fanno una media di venti per ogni provincia italiana. Nell'Italia che ha abbracciato l'industrializzazione post-bellica come una liberazione dal peso della terra, sempre troppo bassa per essere amata, le fattorie didattiche hanno impiegato settant'anni per nascere e altri trenta per diffondersi. In questo segmento i pionieri sono stati gli scandinavi, all'inizio del Novecento diedero un tetto alle idee del movimento delle quattro acca (Head, Health, Heart, Hànd): al centro dello sviluppo dei giovani dovevano esserci l'agricoltura e la voglia di imparare facendo. Agriturismi e aziende agricole,sono diventate scuole naturali a cielo aperto capaci di creare un collegamento virtuoso tra le città e la campagna.L’organizzazione dei Giovani Agricoltori Europei (CEJA) ha svolto qualche anno fa un’indagine tra i bambini d’Europa compresi nella fascia di età tra i sei e gli undici anni, dalla quale è emerso che i ragazzi sono così condizionati dai messaggi pubblicitari da ritenere che il latte provenga da una fabbrica, i polli hanno quattro zampe e il pane cresce sugli alberi. I bambini hanno difficoltà ad associare i prodotti originari alla loro forma finale dopo la  trasformazione. Per esempio, il 50% dei bambini europei non sa da dove viene lo zucchero, tre quarti non sanno da dove viene il cotone, mentre un quarto crede che cresca sulle pecore. Un terzo dei bambini non è in grado di citare nemmeno un prodotto derivato dal girasole.  La maggior parte dei bambini entra in contatto con la produzione agricola soltanto al supermercato: solo il 10% cita la fattoria come regolare fonte di acquisti per la famiglia. Quasi un quarto dei bambini non è in grado di citare un metodo di conservazione del cibo diverso dal congelamento.

La semplificazione merita 6+ in pagellaFinalmente il Ministero del Lavoro ha reso nota la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 86 del 12 aprile u.s. del decreto Interministeriale del 27 marzo 2013 (in allegato) in materia di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali del settore agricolo. Il decreto , molto atteso dal mondo agricolo, attua l’art. 3, comma 13, del d. lgs 81/2008 il quale recita “In considerazione della specificità dell’attività esercitata dalle imprese medie e piccole operanti nel settore agricolo, ... , nel rispetto dei livelli generali di tutela di cui alla normativa in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, e limitatamente alle imprese che impiegano lavoratori stagionali ciascuno dei quali non superi le cinquanta giornate lavorative e per un numero complessivo di lavoratori compatibile con gli ordinamenti colturali aziendali, provvede ad emanare disposizioni per semplificare gli adempimenti relativi all’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria previsti.Gli elementi qualificanti sono:

- Gli adempimenti previsti dall’art. 14 del d. lgs 81/2008 sono sostituiti da un’unica visita medica preventiva da effettuarsi dal medico competente ovvero dal dipartimento di prevenzione della ASL.

- gli adempimenti di informazione e formazione si considerano assolti mediante consegna al lavoratore di appositi documenti, certificati dalla ASL che contengano indicazioni idonee a fornire conoscenze per l'identificazione, la riduzione e la gestione dei rischi in ambiente di lavoro.

 

E di nuovo battaglia intorno all'articolo 62 e alle nuove norme che regolano relazioni commerciali e tempi fissi di pagamenti tra le imprese. L'articolo impone contratti scritti tra le parti e pagamenti entro 30 (per prodotti deperibili) o 60 giorni con sanzioni per chi sfora, e sulla misura ora è lite tra il ministero delle Politiche agricole e quello dello Sviluppo economico. Quest'ultimo ha pubblicato sul proprio  sito un parere del suo ufficio legislativo, in risposta a un quesito posto dalla Confindustria, circa «l'abrogazione implicita» di fatto dell'art.62 della legge 27 del 2012 per effetto della sopraggiunta direttiva europea sui tempi di pagamento. Parere bocciato però come «erroneo» dal ministero guidato da Mario Catania, fautore delle nuove regole a tutela soprattutto dei produttori agricoli, parte debole della filiera agroalimentare. Il Mipaaf ha fatto sapere che considera «pienamente in vigore» l'art.62 e che parlerà nei prossimi giorni attraverso una propria nota. Intanto si sono rinfocolate le polemiche che avevano già accompagnato la genesi del provvedimento contrapponendo produttori e organizzazioni agricole da una parte, commercianti e supermercati dall'altra.

Si allega la interrogazione a risposta scritta 4/00247 a cura dell'On. GALLINELLA FILIPPO del Movimento 5 Stelle.

 


La multinazionale spagnola Ebro Foods, co­losso mondiale dell’agroalimentare qualche settimana fa ha rilevato il 25% della Riso Scotti, storica impresa pavese da oltre 150 anni di proprietà dell'omonima famiglia. Superfluo aggiungere che il timore che serpeggia tra gli addetti ai lavori è che l'operazione, sbandierata come un'alle­anza di natura industriale e commerciale per favorire una maggiore penetrazione sui mercati internazio­nali, sia solo il preludio alla cessione totale dell'azien­da lombarda alla multinazionale iberica, già presente nel settore in Italia con la controllata Mundiriso.  D'altronde, la cessione di marchi “Made in Italy” non è una novità, dalla Buitoni alla Perugina, acquisite dalla multina­zionale elvetica Nestlè nel lontano 1988, passando per aziende lattiero-casearie del calibro di Locatelli, Invernizzi, Galbani e Parmalat, tutte finite una dopo l'altra nell'ultimo decennio sotto il controllo del gigante francese Lactalis. E l'elenco potrebbe continuare citando la spagnola Deoleo, che negli ultimi anni ha fatto incetta di marchi blasonati nel settore dell'olio d'oliva italiano, mettendo le mani prima su Sasso, poi su Carapelli e, infine, Bertolli. Che l’agroalimentare italiano sia ormai diventa­to terra di conquista da parte delle multinazionali straniere è purtroppo un fatto assodato. La questione è stata affrontata nell'ultima relazione annuale trasmessa al Parlamento dal Dipartimento informazioni per la sicurezza (Dis), nel quale viene tra l'altro con forza sottolineato che la crisi economica sta rafforzando l'azione aggressiva di gruppi esteri che puntano ad acquisire «patrimoni industriali, tecnologici e scien­tifici nazionali, nonché marchi storici del mode in Italy, a detrimento della competitività delle nostre imprese strategiche». L'attività informativa, si legge ancora nella relazione, ha confermato il perdurante interesse da parte di attori esteri nei confronti del comparto produttivo nazionale, specialmente del­le piccole e medie imprese, colpito dal prolungato stato di crisi che ha sensibilmente ridotto tanto lo spazio di accesso al credito quanto i margini di redditività. Un segnale d'allerta, quello proveniente dal Dis, prontamente rilanciato dalle organizzazioni agri­cole, che richiamano l'attenzione sui rischi di de­pauperamento e perdita di competitività del nostro sistema agroalimentare derivanti dal passaggio in mani straniere dei pezzi da novanta del mode in Italy a tavola. «La crisi economica - osserva la Confede­razione italiana agricoltori - rende più vulnerabili le nostre imprese, che sono cosi prese di mira dai grup­pi esteri che mettono in atto particolari manovre di acquisizione per scippare marchi storici e conquista­re sempre più spazio nel settore. E i danni sono evi­denti soprattutto per i nostri agricoltori, che vedono ridursi le vendite, in quanto l'approvvigionamento di queste società è rivolto ad altri mercati». La relazione dei nostri servizi segreti - prosegue la Cia - ha messo il dito nella piaga, evidenziando una situazione sempre più critica, che la diffici­le congiuntura economica rischia di far diventare drammatica, con le multinazionali estere che ormai controllano oltre il 70% dei prodotti che finisco­no sulle nostre tavole. «L'agroalimentare italiano è strategico e deve essere tutelato - incalza ancora la Confederazione -. Non vogliamo essere tacciati di nazionalismo o protezionismo, però non si può continuare ad assistere passivamente all'assalto dello straniero.